Savona - Sono usciti alla spicciolata, qualcuno con gli occhi lucidi nonostante i 50 anni e la dura scorza dell’operaio abituato a sudare in fabbrica.
I lavoratori dello stabilimento Owens Cornig – Ocv di Vado si sono chiusi alle spalle il cancelletto vicino al posto di guardia che si affaccia sul parcheggio. Per l’ultima volta. Dopo il turno di ieri notte lo stabilimento ha chiuso.
La multinazionale americana ha ritenuto la fabbrica vadese “non più strategica” e semplicemente se ne disfa, manda a casa gli operai per aprire un nuovo impianto, magari in Russia, dove l’energia si regala e la manodopera costa un quarto. Quel nodo in gola spezza le parole: «Oggi (ieri per chi legge) era l’ultimo giorno di lavoro in produzione, da domani torno qui per smantellare la “mia” fabbrica», spiega Gianfranco Vescovi, da 26 anni a sporcarsi le mani con i filati di vetro. Già, perché quegli stessi operai che perderanno il lavoro nelle prossime due settimane dovranno anche occuparsi di smontare i macchinari. «Non so cosa vogliano fare –prosegue Vescovi- questi impianti funzionano». Eppure Ocv non farà passi indietro, ai dipendenti resta la cassa integrazione.
«Passeremo le giornate alla ricerca di un altro lavoro – racconta Fabio Camignani, delegato della Filctem/Cgil- ma molti colleghi sono in età matura, sarà difficile arrivare alla pensione. Per fortuna c’è la cassa integrazione. Le nostre vite cambieranno: con 850 euro si sopravvive, ma si deve tagliare tutto. Io posso ritenermi fortunato perché mia moglie lavora».
La multinazionale ha offerto dei posti negli altri suoi stabilimenti: a Besana Brianza, Chambery e L’Ardoise: «Ma ci può fare un pensierino chi non ha famiglia – aggiunge Camignani - se io dovessi trasferirmi, mia moglie dovrebbe lasciare il suo lavoro per seguirmi con i due figli». Dal cancello escono Gloriano Bigliano, Alessio Casiraghi, Daniele Calcagno, Emilio Elottero: «Pensavamo di arrivare alla pensione qui – raccontano- per molti mancano ancora dieci o dodici anni. Pensavamo che fosse un momento di attesa, lavoriamo per le industrie dell’automobile, un mercato che ha alti e bassi. Al limite temevamo un ridimensionamento. E invece è arrivata questa mazzata». «La proprietà gioca a Risiko. Oggi paghiamo le scelte scriteriate degli ultimi anni, quando si è deciso di ridurre i volumi di produzione e intanto salivano i costi energetici».