
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7978 del 2010, proposto
da:
Comune di Besana in Brianza, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Umberto Fantigrossi, con domicilio eletto presso Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria N. 2;
Comune di Besana in Brianza, in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dall'avv. Umberto Fantigrossi, con domicilio eletto presso Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria N. 2;
contro
Aqvasport Soc. Coop. e Turra Srl, in persona del legale
rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. Leopoldo Melli,
Maurizio Zoppolato, Federico Zanichelli, con domicilio eletto presso Maurizio
Zoppolato in Roma, via del Mascherino 72;
nei confronti di
Mariangela Bonfanti, Aurelio Sala, Bottega Gatti di Gatti
Fabrizio, Vibe Sas di Giulino Franco, D'Ivi di Romano Ivana, Color Pink di
Mozzanica & C. Snc, Vittoria Brambilla, Rita Sironi, Davide Galimberti,
Presidente Consiglio dei Ministri, Presidente della Repubblica, Roberto Villa;
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale
rappresentante in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello
Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato
per legge;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. della LOMBARDIA – MILANO- SEZIONE I n.
03937/2009, resa tra le parti, concernente approvazione piano triennale opere
pubbliche - realizzazione impianto natatorio comunale
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Aqvasport Soc.
Coop. e Turra Srl e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 aprile 2014 il
Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli Avvocati Paoletti, per
delega dell'Avv. Fantigrossi, e Petronella, per delega dell'Avv. Zoppolato, e
l'Avvocato dello Stato Isabella Bruni;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza parziale in epigrafe appellata il Tribunale
amministrativo regionale della Lombardia – sede di Milano - ha accolto il
ricorso di primo grado proposto dall’ odierna parte appellata Aqvasport Soc.
coop.va e Turra Srl, volto ad ottenere l’annullamento della delibera di Giunta
Comunale della Città di Besana in Brianza n.219 del 14 ottobre 2008, della
delibera del Consiglio Comunale della Città di Besana in Brianza n.63 del 14
ottobre 2008, della nota prot. 33083 del 14 ottobre 2008 (ricevuta il 20 ottobre
successivo) con la quale il Responsabile del Servizio Lavori Pubblici della
Città di Besana in Brianza aveva comunicato le predette delibere e di ogni altro
provvedimento e/o atto antecedente, presupposto, conseguente e comunque connesso
ivi compreso il Decreto del Presidente della Repubblica in data 23 novembre 2007
con il quale era stato accolto il ricorso proposto in data 1° aprile 2004
avverso le delibere di C.C. della Città di Besana in Brianza n.11/02 e 71/03, ed
il relativo parere della Sez. II del Consiglio di Stato e comunque per il
risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei gravati provvedimenti e/o della
complessiva condotta tenuta dalla Città di Besana in Brianza nell’ambito della
vertenza oggetto del contendere.
La società originaria ricorrente aveva riepilogato il complesso
contenzioso intrattenuto con l’amministrazione comunale ed aveva sostenuto che
le plurime illegittimità da questa perpetrate rendessero doveroso il
riconoscimento della spettanza della tutela risarcitoria.
In particolare, l’operato dell’Amministrazione si era
contraddistinto nella pervicace volontà di impedire con ogni mezzo la
realizzazione di un complesso immobiliare che essa, in passato, si era impegnata
ad assentire, posto che con delibera n. 174/01 del 3.10.2001 il Consiglio
Comunale di Besana in Brianza aveva approvato il piano triennale delle opere
pubbliche includendovi un impianto natatorio da realizzare in finanza di
progetto, ricomprendendo la stima della spesa per la realizzazione dell’opera
nel bilancio di previsione approvato con delibera n. 11/2002e che con delibera
di C.C. n. 54/02 aveva aggiornato il succitato programma triennale, con la
variazione in aumento della spesa per la realizzazione del centro natatorio,
pari ad euro 5.371.850.00.
La ditta originaria ricorrente aveva dedotto numerose censure di
violazione di legge ed eccesso di potere.
In particolare, aveva rammentato che il 27 dicembre 2002 essa
aveva presentato una proposta per la realizzazione dell’opera, approvata
dall’amministrazione, a seguito di molteplici incontri e modifiche progettuali,
con delibera di C.C. n. 71 del 28 novembre 2003, che valeva anche come adozione
di variante al PRG comunale in relazione alla destinazione a centro commerciale
di una porzione della complessiva area contemplata dal progetto.
Il 24 marzo 2004 l’Ente Parco Valle Lambro aveva espresso parere
favorevole condizionato all’esclusione della destinazione per funzione di centri
commerciali, ed anche la Provincia di Milano aveva espresso parere di
compatibilità condizionata con il PTCP.
Il primo aprile 2004 alcuni soggetti avevano proposto ricorso
straordinario al Presidente della Repubblica contro la delibera di prima
approvazione della proposta (la n. 71/03) e avverso la delibera di approvazione
del bilancio 2002 (la n. 11/02), lamentando l’incompatibilità di tali
provvedimenti con le NTA del Parco Valle Lambro e con i loro interessi economici
in virtù della succitata destinazione a centro commerciale.
Il 28 aprile 2004 il comune, con delibera n. 38/04, dato atto
del parere dell’Ente Parco e dell’avvenuta proposizione del ricorso
straordinario, aveva deciso di uniformarvisi, approvando in via definitiva il
progetto dell’opera pubblica e la connessa variante urbanistica “escluse le
funzioni di centro commerciale”, facendo salva la facoltà del preponente di
insediare, in alternativa a quello, un centro destinato, in via esclusiva, ad
attività strettamente attinenti allo sport e/o ricreative, e chiedendo all’ATI
proponente la formale adesione alle modifiche progettuali in data 28 maggio
2004.
La originaria aveva fatto pervenire la detta adesione nel luglio
successivo.
Senonché inopinatamente, con nota del 21 gennaio 2005 il Comune
aveva comunicato al Ministero competente per l’istruttoria del ricorso
straordinario di aver deliberato la rinuncia alla difesa dell’ente sulla base
della parziale condivisione delle motivazioni addotte dai ricorrenti, non
ritenendo opportuno realizzare il centro commerciale annesso alla piscina.
A seguito di una serrata interlocuzione infraprocedimentale
(diffide dell’ATI ricorrente all’amministrazione comunale, volte alla
definizione della procedura, rimaste senza esito sostanziale)con nota del 18
gennaio 2007 il comune aveva comunicato all’ATI di aver annullato le delibere
consiliari n. 71/03 e 38/04 ritenendo incompleta la loro proposta ed illegittime
le relative delibere di approvazione.
Esse erano insorte avverso il detto atto di autotutela, ed il
Tar (sentenza n. 1279 del 2 maggio 2008) aveva accolto il mezzo evidenziando che
sotto le spoglie di un annullamento di delibere asseritamene illegittime, si
celava il mutato avviso circa l’opportunità dell’opera proposta ( avviso al
quale si sarebbe potuto dar seguito solo previa adeguata istruttoria e
motivazione e con indennizzo delle promotrici).
Con le delibere n. 219 e 63 del 14 ottobre 2008, oggetto di
impugnazione, il comune aveva asseritamente preso atto di un preteso effetto di
automatica caducazione delle delibere n. 54/02 (di riapprovazione del programma
delle opere pubbliche per il triennio 2002-2004 e di aggiornamento dell’importo
dell’opera in questione) e 38/04 (di approvazione definitiva della proposta
dell’ATI e della connessa variante) spiegato dal decreto di accoglimento del
ricorso straordinario ed aveva (nuovamente) concluso che, in ragione di tale
caducazione, il procedimento di project financing doveva ritenersi definito in
termini negativi.
Ciò, ad avviso dell’ATI non costituiva altro che il pretesto per
non realizzare l’opera neppure con le modifiche alle quali essa aveva prestato
adesione.
Il Tar - disattese le preliminari eccezioni di improcedibilità e
di inammissibilità del ricorso sollevate con riferimento all’adozione da parte
del comune di un nuovo PGT che non avrebbe ammesso l’insediamento di alcuna
volumetria commerciale sul sito di specie alla stregua della circostanza che
l’accertamento parentetico richiesto era indispensabile per la delibazione del
petitum risarcitorio - ha accolto il mezzo.
Il primo giudice ha premesso di volersi conformare
all’insegnamento giurisprudenziale secondo il quale nel procedimento di
formazione degli strumenti urbanistici, la delibera di adozione e quella di
approvazione si pongono su un piano di distinta autonomia.
Doveva quindi ritenersi ammissibile la diretta impugnazione di
un provvedimento di adozione del PRG qualora esso fosse immediatamente lesivo, e
l'omessa impugnazione del provvedimento di approvazione di un PRG non
determinava alcuna preclusione all'ammissibilità del ricorso proposto per
l'annullamento della delibera di adozione dello strumento urbanistico.
Quest'ultima esplicava, però, effetti automaticamente caducanti
sul successivo provvedimento di approvazione solo nella parte in cui lo stesso
si limitava a confermare le previsioni già contenute nel piano adottato e fatto
oggetto di impugnativa.
Trasponendo i succitati principi nella fattispecie in questione,
ne discendeva, ad avviso del primo giudice, che l’accoglimento del ricorso
straordinario proposto avverso la delibera di adozione di variante urbanistica
(n. 71/04) poteva esplicare automatica efficacia caducante sulla successiva
delibera di approvazione (la n. 38/04) esclusivamente in relazione alla parte in
cui quest’ultima si limitava a confermare le previsioni già contenute nella
variante adottata e annullate a seguito dell’impugnativa, ma non riguardo alla
porzione contenente previsioni che si discostavano dalle prime proprio per
averne riconosciuta l’intrinseca illegittimità.
Id est: le modifiche preconizzavano (ed erano proprio mirate a
prevenire) la futura declaratoria di illegittimità della originaria versione
della variante, esse non erano travolte dall’accoglimento del ricorso
straordinario.
Ne conseguiva quindi che la delibera di approvazione della
variante urbanistica n. 38/04, modificando la proposta progettuale dell’opera in
questione rispetto a quella risultante dalla delibera di adozione della variante
proprio in relazione all’adesione alle osservazioni formulate nel ricorso
straordinario e nel parere dell’Ente Parco relativamente alla contrarietà del
centro commerciale con la normativa urbanistica locale vigente, non poteva in
alcun modo ritenersi automaticamente caducata, rispondendo, al contrario,
proprio alle succitate esigenze manifestatesi, che avevano indotto il comune a
desistere dalla difesa in considerazione delle modifiche progettuali approvate,
consistenti nello stralcio del centro commerciale e nella previsione della sola
facoltà del preponente di insediare un centro destinato, in via esclusiva, ad
attività strettamente attinenti allo sport e/o ricreative.
Da tali considerazioni, valide a maggior ragione con riferimento
alla delibera n. 54/04, di mera riapprovazione del programma triennale con
aggiornamento dell’importo relativo all’opera in questione, discendeva –ad
avviso del Tar- l’illegittimità dei provvedimenti gravati, con i quali il comune
aveva preteso di ricavare dall’annullamento delle delibere n. 71/03 e 11/02 per
effetto dell’accoglimento del ricorso straordinario un automatico effetto
caducante delle delibere n. 54/04 e 38/04.
Il Tar ha poi constatato che non era praticabile ormai alcuna
forma di tutela ripristinatoria residuando unicamente la possibilità di un mero
risarcimento del danno per equivalente: la pretesa della ricorrente di
realizzare il progetto approvato con la delibera n. 38/04 non era in alcun modo
realizzabile allo stato attuale in quanto con deliberazioni n. 45 del 26 giugno
2008 e n. 46 del 27 giugno 2008, il comune di Besana in Brianza aveva approvato
il Piano di Governo del Territorio (precedentemente adottato con deliberazione
n. 63 del 23 dicembre 2007), entrato in vigore il 27 agosto 2008, che aveva
sostituito gli strumenti urbanistici precedenti.
Tale strumento urbanistico, non impugnato dall’ATI, aveva
disciplinato il sito in questione azzonandolo ad “area per attrezzature
sportive”, ove erano previsti impianti per lo sport agonistico, palestre,
piscine, palazzetti per lo sport, ma non era prevista in alcun modo la
possibilità di insediamenti di volumetria commerciale, neanche strettamente
attinenti allo sport e/o ad attività ricreative.
Esclusa la praticabilità di un risarcimento in forma specifica,
ritenuto integrato il presupposto della colpa in capo all’amministrazione ed
insussistente ogni dubbio sul verificarsi di danni economici per l’ATI il Tar ha
rinviato la liquidazione dei danni ad una decisione successiva, in
considerazione dalla incompletezza del materiale probatorio allo stato versato
in atti.
Con la successiva decisione definitiva n. 1895/2010, , il Tar ha
quantificato il danno risarcibile nella misura di Euro 334.891, oltre alla
rivalutazione monetaria ed agli interessi da computarsi nella misura legale
dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo
La odierna parte appellante principale, già resistente rimasta
soccombente nel giudizio di prime cure, ha proposto una articolata critica alla
sentenze in epigrafe chiedendone la riforma.
Ha ripercorso il contenzioso intercorso ed ha sostenuto che il
Tar non aveva colto la correttezza dell’azione amministrativa intrapresa dal
Comune e che in ogni caso, ove avesse realizzato (come poteva) la piscina,
l’appellata avrebbe comunque potuto soddisfare le proprie aspettative
imprenditoriali.
L’appellante ha poi contestato che fosse ravvisabile alcuna
colpa; ha sostenuto che la sopravvenuta disciplina urbanistica impeditiva della
realizzabilità dell’opera e rimasta inimpugnata spezzasse – a tutto concedere-
il nesso di causalità tra la condotta ed il danno lamentato; si è genericamente
doluta della quantificazione dell’importo.
Con successive memorie ha ribadito e puntualizzato le dette
censure.
L’appellata ha gravato la sentenza definitiva con appello
incidentale sotto il profilo della quantificazione del danno ed ha riproposto le
censure di primo grado assorbite dal Tar.
All’udienza camerale del 5 novembre 2013 la Sezione con la
ordinanza n. 04364/2013
ha respinto l’istanza di sospensione della esecutività della
impugnata decisione alla stregua della considerazione per cui “stante la
fluidità della situazione e la disponibilità offerta da parte appellata appare
corretto subordinare il diniego del richiesto provvedimento cautelare alla
prestazione, a carico della odierna parte appellata, di adeguata garanzia a
tutela delle ragioni di danno della controparte amministrazione comunale,
secondo le seguenti modalità:
la garanzia sarà fornita tramite fideiussione bancaria a prima
richiesta scritta da parte del beneficiario, ossia della parte appellante Comune
di Besana Brianza per un valore garantito pari ad €.370000 (euro
trecentosettantamila) e con validità fino alla conclusione del procedimento
giurisdizionale dinanzi al Consiglio di Stato;
il contratto di fideiussione bancaria disporrà che l’escussione
della garanzia a prima richiesta scritta da parte del beneficiario sia
subordinata alla contestuale comunicazione della decisione conclusiva del
procedimento giurisdizionale dinanzi al Consiglio di Stato e che l’escussione
avvenga nei limiti della somma indicata nella detta decisione conclusiva come
quella dovuta a titolo di danni e di rimborso per spese di giustizia;
l’originale del contratto di fideiussione sarà notificato,
unitamente al presente decreto, al soggetto beneficiario, mentre copia del
documento stesso sarà versata agli atti di questa Sezione;”.
Tutte le parti processuali hanno depositato memorie insistendo
nelle rispettive conclusioni e deduzioni e puntualizzando le censure svolte.
Alla odierna pubblica udienza dell’8 aprile 2014 la causa è
stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.L’appello principale è infondato e deve essere respinto, nei
termini di cui alla motivazione che segue dal che consegue la improcedibilità
dell’appello incidentale laddove sono stati riproposti i motivi del mezzo di
primo grado assorbiti. Va invece dichiarato infondato l’appello incidentale
nella parte in cui, gravando la sentenza definitiva resa dal Tar, intende
sostenere che il risarcimento disposto avrebbe dovuto essere maggiormente
cospicuo.
1.1. In ossequio al principio di cui all’art. 104 del cpa il
Collegio prenderà in esame unicamente le doglianze e censure prospettate
nell’atto di appello, e non anche tutte le argomentazioni “nuove” ivi non
contenute e via via rappresentate da parte appellante nelle proprie memorie: ciò
nella condivisione del principio, che costituisce jus receptum, secondo il quale
può essere affidato alla memoria difensiva il solo compito di una mera
illustrazione esplicativa dei precedenti motivi di gravame senza possibilità di
ampliare il thema decidendum (ex aliis Cons. Stato Sez. IV, 26-03-2013, n.
17159).
2.In ordine alla illegittimità dell’azione amministrativa
spiegata dall’amministrazione comunale appellante non pare al Collegio possano
sussistere dubbi.
Invero la sequenza cronologica e temporale che ha condotto
all’adozione degli atti di autotutela gravati, e le motivazioni poste a sostegno
dei medesimi, unitamente alla considerazione che un precedente atto di
autotutela era stato annullato dal Tar inducono il Collegio a ritenere del tutto
inaccoglibile la critica appellatoria.
Il punto dal quale occorre muovere è rappresentato dal principio
–che costituisce jus receptum- secondo il quale l'omessa impugnazione della
deliberazione approvativa della variante di un piano regolatore generale non
determina l'improcedibilità del ricorso proposto contro la delibera comunale di
adozione, in quanto l'eventuale annullamento di quest'ultima esplica effetti
automaticamente caducanti, e non meramente vizianti, sul successivo
provvedimento di approvazione.
Ciò però, soltanto nella parte in cui lo stesso ha confermato le
previsioni già contenute nel piano adottato e fatto oggetto di impugnativa
(cfr., da ultimo, Cons. St., sez. IV, 8 marzo 2010, n. 1361, e 23 luglio 2009,
n. 4662).
Ove dette previsioni – come nel caso di specie- fossero state
modificate, è evidente che detto effetto caducante non può verificarsi.
Il principio ha una portata più generale, e si estende ad ogni
fattispecie in cui, nel corso di un procedimento giurisdizionale già avviato,
sopravvenga una nuova statuizione amministrativa.
Ove quest’ultima abbia in nulla abbia modificato/innovato con
riferimento alla fattispecie controversa, sarebbe inutile e senza ragione
gravoso onerare il ricorrente ad impugnare nuovamente l’atto sopravvenuto, che
in nulla immuta la res controversa: e di converso la sentenza intervenuta è
idonea a produrre effetti anche in pregiudizio della nuova statuizione
amministrativa, in parte qua rimasta immutata.
A specularmente diverse conclusioni, deve giungersi allorché,
invece, l’atto sopravvenuto immuti il preesistente regime giuridico che aveva
dato atto al contenzioso: il mezzo originario dovrebbe essere dichiarato
improcedibile, in ipotesi di omessa tempestiva impugnazione di quello
superveniens che ha determinato un assetto di interessi diverso, ed in ogni caso
la sentenza pronunciata in relazione all’atto pregresso, “superato” da quello
successivo non potrebbe spiegare effetti nei confronti di quest’ultimo.
Il tema è stato scandagliato funditus dalla giurisprudenza,
interrogandosi in ordine alle conseguenze dell’atto superveniens rimasto
inimpugnato in punto di procedibilità del gravame.
Avveduta giurisprudenza perimetra la possibilità che possa
discendere la improcedibilità del ricorso originario, escludendo detto effetto
nei casi di atto meramente confermativo, ma ammettendo tale conseguenza nel caso
in cui (T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, 07-09-2012, n. 2266 “deve essere
dichiarata la improcedibilità del giudizio amministrativo ogni qualvolta si
verifichi la sostituzione del provvedimento impugnato ad opera di altro atto,
non meramente confermativo o elusivo, che modifichi la situazione di diritto e
di fatto - in senso favorevole o no - in guisa tale da togliere al ricorrente
ogni interesse in ordine alla legittimità dell'atto impugnato”) si tratti di
atto che, non meramente confermativo od elusivo, modifichi a seguito di una
nuova delibazione l’assetto di interessi seppur comunque non in termini
satisfattori per l’appellante.
La improcedibilità insomma, non discende dal “miglioramento”
della situazione dell’originario ricorrente (miglioramento che potrebbe anche
mancare) ma dalla rivalutazione della situazione.
E’ noto, sul punto, il costante approdo della giurisprudenza (ex
aliisCons. Stato Sez. III, 07-05-2012, n. 2613 ) secondo il quale “sul soggetto
che, pur non essendovi tenuto, abbia impugnato immediatamente ed in via autonoma
il provvedimento di aggiudicazione provvisoria di una gara di appalto, grava
l'onere di impugnare, in un secondo momento, anche l'aggiudicazione definitiva,
pena l'improcedibilità del primo ricorso. L'aggiudicazione definitiva infatti
non è un atto meramente confermativo od esecutivo di quella provvisoria, ma un
provvedimento, che, anche quando recepisca integralmente i risultati
dell'aggiudicazione provvisoria, postula una nuova ed autonoma valutazione, pur
facendo parte della medesima sequenza procedimentale.”
Ciò che rileva, quindi, non è l’approdo dell’atto, ma in cosa
consista l’atto stesso.
Nel caso di specie non può dubitarsi del fatto che la delibera
approvativa del PRG sostituisse quella precedente di adozione, modificandone
addirittura singole parti ( e per giunta al fine di “disinnescare”,
prevenendole, le conseguenze del proposto ricorso straordinario) di guisa che
dall’accoglimento del ricorso straordinario non potevano discendere i pretesi
effetti caducanti sul PRG approvato che hanno erroneamente condotto
l’amministrazione a dispiegare dell’azione amministrativa di autotutela.
2.1.A fortiori –lo si ripete- ciò deve accadere nel caso di
specie, laddove le modifiche apportate miravano proprio a “disinnescare” la
impugnativa a mezzo di ricorso straordinario già proposta e volta ad avversare
la delibera n. 71/2003, valevole anche come variante al Prg comunale, ove l’area
era destinata a centro commerciale.
In proposito si rammenta infatti che la delibera n. 38 del
26.04.2004 aveva approvato in via definitiva il progetto dell' opera pubblica e
la connessa variante urbanistica, consentendo al preponente l'edificazione di
una struttura destinata in via esclusiva ad attività strettamente attinenti allo
sport e/o ricreative (ed escludendo quindi la destinazione a centro
commerciale).
Già con nota del 18.01.2007 il Comune di Besana Brianza aveva
comunicato che con delibera consiliare n.75/2006 aveva proceduto ad annullare in
autotutela le deliberazioni n. 71/03 e 38/04, ritenendo incompleta la loro
proposta ed illegittime le relative delibere di approvazione per il contrasto
con le norme del piano territoriale di coordinamento del Parco Valle del Lambro,
le quali non consentivano l'insediamento sull'area in questione di funzioni
commerciali.
Ma il TAR Milano con sentenza n. 1279 del 2008 aveva provveduto
ad annullare detta eterminazione ( delibera consiliare n.75/2006).
2.1.1. Sopravvenuto, in data 23.11.2007 il decreto decisorio del
ricorso straordinario, comunicato il 10.01.2008, il Comune ha nella sostanza
reiterato l’atto di ritiro.
Il Tar esattamente ha colto una illegittimità in dette
determinazioni del Comune, ed uno sviamento rispetto alla causa: il Comune
avrebbe ben potuto supportare l’atto di “ritiro” da una mutata considerazione
dell’interesse pubblico (esponendosi, come è ovvio, ad una richiesta di
indennizzo ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990).
Ciò ha voluto evitare, e contrariamente alle indicazioni in tal
senso della (pacifica quanto consolidata, lo si ripete) giurisprudenza, ha
“utilizzato” l’intervenuto annullamento in sede di ricorso straordinario per un
fine improprio: l’illegittimità è quindi palese.
2.2. Nell’atto di appello, l’appellante amministrazione comunale
muove dalla circostanza che con deliberazioni n. 45 del 26 giugno 2008 e n. 46
del 27.06.2008 era stato approvato il Piano di Governo del Territorio
(precedentemente adottato con deliberazione n. 63 del 23 dicembre 2007), entrato
in vigore il 27 agosto 2008 e che tale strumento urbanistico, non impugnato
dalle appellate, non prevedeva sull'area in questione alcuna volumetria
commerciale (diversamente da quanto ancora possibile anche dopo la delibera n.
38 del 26.04.2004 che pure aveva escluso la destinazione a centro commerciale) e
tenta di sostenere che, contrariamente a quanto espresso nelle deliberazioni n.
219 e n. 63 del 14 ottobre 2008 gravate (laddove il Comune aveva preso atto del
decreto presidenziale di annullamento delle delibere n. 11/02 e n. 71/03 e
concluso che il procedimento di project financing doveva ritenersi definito in
termini negativi) in realtà trattavasi di atto ricognitivo complessivo, che
prendeva atto anche dei sopravvenuti strumenti urbanistici ostativi e che,
pertanto, nessuna illegittimità poteva ravvisarsi.
2.2.In contrario avviso rispetto a quanto sostenutosi
nell’appello, evidenzia il Collegio che proprio l’amministrazione comunale,
attraverso due distinti atti di ritiro aveva reso impossibile la realizzazione
del progetto: l’uno, già annullato dal Tar (con la sentenza n. 1279 del 2008 con
cui era stata annullata detta la delibera consiliare n.75/2006); il secondo,
attraverso le delibere annullate dal Tar con la sentenza non definitiva oggetto
del primo motivo di appello.
Tale ultima delibera era (infondatamente, per come si è visto)
motivata unicamente con l’intervenuto annullamento in sede di ricorso
straordinario (ma quest’ultimo investiva soltanto le originarie previsioni,
medio tempore modificate); tale condotta aveva reso impossibile la realizzazione
del progetto durante tutto il periodo precedente alla sopravvenuta approvazione
dei nuovi strumenti urbanistici.
Va quindi posto in luce che questi ultimi non spezzano
assolutamente il nesso di causalità tra la reiterata condotta illegittima ed il
danno arrecato ma che gli stessi (rectius: la omessa impugnazione dei medesimi)
correttamente, sono stati valutati dal Tar in sede di quantificazione del danno
(vedasi in proposito quanto affermato dal Tar nella sentenza definitiva n. della
quale di seguito si riporta uno stralcio: “Deve, peraltro, rilevarsi che la
società ricorrente ha omesso di impugnare il PGT approvato dall’amministrazione
comunale nell’estate dell’anno 2008, nuovo strumento urbanistico che, destinando
l’area di specie ad attrezzature sportive, non prevede in alcun modo la
possibilità di insediamenti di volumetria commerciale, neanche strettamente
attinenti allo sport e/o ad attività ricreative. Di conseguenza, la proposta
dell’opera pubblica in questione, così come predisposta, non sarebbe stata in
ogni caso più realizzabile.
Il collegio ritiene, dunque, di poter applicare alla fattispecie
che ci occupa il disposto normativo di cui all’art. 1227, comma 1, c.c., che,
disciplinando l’ipotesi in cui il fatto colposo del creditore danneggiato abbia
concorso a cagionare il danno, prevede la diminuzione del risarcimento secondo
la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”).
2.3. Sull’efficienza causale della condotta spiegata dal Comune
rispetto alla causazione del danno non può pertanto dubitarsi, e non è altresì
sostenibile la tesi secondo cui l’eventus damni sarebbe stato in via esclusiva
cagionato dalla sopravvenienza urbanistica ostativa rimasta in impugnata.
3.Le superiori considerazioni inducono altresì a ritenere
integrato il requisito soggettivo ex art. 2043 cc, sotto il profilo della colpa
grave (quando non anche, per il vero, della malafede) e certamente corretta la
individuazione di una responsabilità risarcitoria, sotto il profilo dell’an
debeatur.
Il Collegio condivide infatti l’insegnamento della
giurisprudenza amministrativa che ha a più riprese affermato che “l' azione di
risarcimento conseguente all' annullamento in sede giurisdizionale di un
provvedimento illegittimo implica la valutazione dell' elemento psicologico
della colpa, alla luce dei vizi che inficiavano il provvedimento stesso e della
gravità delle violazioni imputabili all'Amministrazione, secondo l' ampiezza
delle valutazioni discrezionali rimesse all' organo amministrativo nonché delle
condizioni concrete in cui ha operato l' Amministrazione, non essendo il
risarcimento una conseguenza automatica della pronuncia del giudice della
legittimità.”(Consiglio Stato , sez. IV, 01 ottobre 2007, n. 5052).
E’ stato poi in passato osservato – e non v’è ragione per
discostarsi da tale approdo - che, perché possa configurarsi la responsabilità
della p.a. è sufficiente la colpa, anche lieve dell'apparato amministrativo
(Consiglio Stato , sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).
Invero la giurisprudenza ha avuto modo in passato di evidenziare
il ridotto onere dimostrativo che grava in subiecta materia sul privato, atteso
che “fermo restando l'inquadramento della maggior parte delle fattispecie di
responsabilità della p.a., tra cui quella in esame, all'interno della
responsabilità extracontrattuale, non è comunque richiesto al privato
danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare sforzo
probatorio sotto il profilo dell'elemento soggettivo. Infatti, pur non essendo
configurabile, in mancanza di un'espressa previsione normativa, una
generalizzata presunzione (relativa) di colpa dell'amministrazione per i danni
conseguenti ad un atto illegittimo o comunque ad una violazione delle regole,
possono invece operare regole di comune esperienza e la presunzione semplice, di
cui all'art. 2727 c.c., desunta dalla singola fattispecie. Il privato
danneggiato può, quindi, invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice
presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a
dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro,
all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile,
configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali
sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco
entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante
di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva
dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.”(Consiglio Stato ,
sez. VI, 23 giugno 2006, n. 3981).
Non si ravvisano ragioni per discostarsi dal superiore
orientamento, e la complessiva condotta dell’amministrazione deve essere
valutata unitariamente e deve escludersi nel caso in questione alcuna ipotesi di
“esimente” dal riscontrato stato colposo, essendosi la medesima, a più riprese,
immotivatamente discostata da conformi indicazioni giurisprudenziali, ed avendo
tenuto condotte (tra le quali, anche, la omessa difesa in sede di ricorso
straordinario) che seppur non ex se censurabili in quanto rientranti nella
libera determinazione dell’Ente sono ad avviso del Collegio dimostrative della
consapevolezza della non linearità della statuizione revocatoria.
4.Tutte le ulteriori prospettazioni di parte appellante
principale, in ultimo avanzate anche con memoria di replica, sono inaccoglibili,
in quanto non incidono sull’an della responsabilità risarcitoria, ma semmai,
rappresentano problematiche relative al quantum della medesima (asserita
realizzabilità parziale del progetto, etc).
Il quantum debeatur non è stato minimamente delibato nella
sentenza parziale gravata oggetto dell’odierna impugnazione, ma è stato
quantificato mercè la decisione definitiva n. 1895/2010.
Quest’ultima però, al pari della prima appare immune da
censure.
4.1. Nell’atto di appello, infatti, ci si duole della
circostanza che il Tar abbia concesso a parte appellante una chance ulteriore di
documentare il danno subito.
4.1.1.La censura appare del tutto destituita di fondamento alla
stregua del condiviso principio secondo il quale (Cons. Stato Sez. V,
12-06-2012, n. 3441 ) “in materia di responsabilità civile della P.A. grava sul
danneggiato l'onere di provare, ai sensi dell'art. 2697 c.c., tutti gli elementi
costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito. Quindi
il privato danneggiato , ancorché onerato, in particolare, della dimostrazione
della colpa dell'Ente pubblico, può offrire al Giudice anche elementi solo
indiziari, quali la gravità della violazione, il carattere vincolato dell'azione
amministrativa, l'univocità della normativa di riferimento e il proprio apporto
partecipativo al procedimento. Deve inoltre fornire in modo rigoroso la prova
dell'esistenza del danno, non potendosi invocare in proposito il c.d. principio
acquisitivo, poiché il medesimo attiene allo svolgimento dell'istruttoria ma non
anche all'allegazione dei fatti.”
Parte appellata ha fornito tutti i referenti atti ad individuare
una condotta colposa dell’Ente; ha indicato le spese sostenute, il possibile
ricavo discendente dall’impianto, ove realizzato; il Tar ha delibato detti
elementi nel pieno contraddittorio delle parti e non supplendo ad alcuna
inerzia, ma semmai, valutando gli elementi offerti con completezza ed
attenzione.
Non ritiene il Collegio si sia verificata alcuna inammissibile
“supplenza” a deficit probatorio.
Per altro verso è appena il caso di precisare la praticabilità
in simili ipotesi, della valutazione equitativa, che deve tenere conto della
difficile quantificazione del danno da perdita di chanche, così come
correttamente inquadrato dal Tar.
4.2. Passando invece alla quantificazione del danno risarcibile,
premesso che il “concorso di colpa” del danneggiato ex art. 1227 cc è stato
ravvisato –e valutato- dal Tar e che tale però non può certo ravvisarsi l’omessa
richiesta di trasposizione da parte delle appellate società in sede di ricorso
straordinario (laddove, invece, le stesse, lo si ricorda, avevano una posizione
di cointeresse con il Comune che omise del tutto di difendersi) è bene
sottolineare che l’appellante amministrazione comunale, oltre a dolersi (con
considerazioni generiche ed apodittiche formulate in via ipotetica) in ordine al
“dimezzamento” operato dal Tar, nulla altro ribadisce se non le considerazioni,
già negativamente vagliate, secondo le quali l’eventus damni sarebbe stato
determinato, in via esclusiva, dalla sopravvenuta disciplina urbanistica
ostativa rimasta inimpugnata.
4.2.1. In contrario senso, ribadisce in proposito il Collegio
che viene in rilievo un plurimo comportamento illegittimo del Comune, maturato
in due riprese, e precedente rispetto alla introduzione nel sistema del nuovo
assetto urbanistico che,semmai, solo a partire dalla sua introduzione ha reso
impossibile la realizzazione dell’opera, non certo elidendo il danno
medito-tempore provocato, né tampoco costituendo elemento assorbente ed
esclusivo.
5. Alla stregua delle superiori argomentazioni l’appello
principale va integralmente disatteso, mentre tutti gli argomenti di doglianza
non espressamente esaminati sono stati dal Collegio da un canto ritenuti non
rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una
conclusione di tipo diverso e per altro verso non delibabili, in quanto non
contenuti nell’atto di appello ed illustrati soltanto in successive memorie.
6. Va adesso scrutinato l’appello incidentale proposto dalla
Acquasport coop avverso la sentenza n. 1895/2010 in punto di quantificazione del
danno (quantificazione che, ad avviso dell’appellante società, è stato
eccessivamente ridotto rispetto a quello effettivamente spettante).
6.1. Nessuna di dette considerazioni (in parte simmetricamente
speculari a quelle articolate dal Comune e per quanto chiarito prima infondate)
appare persuasiva.
La prima di esse si fonda su un dato ipotetico e genericamente
prospettato (l’asserita circostanza che nel 90% dei casi di procedure per
promozione di opera pubblica il promotore si aggiudica l’opera medesima).
Senonché: di tale dato non v’è prova; esso anche ove provato
pienamente sotto il profilo statistico oblia la pacifica evenienza che ogni
procedura evidenziale ha una propria specificità, non apparendo sulla stessa
traslabile l’esito di atra procedura; tale dato quindi, anche ove provato (il
che non è, lo si ripete) non potrebbe né indurre ad attribuire l’integrale
ristoro né – se non ricorrendo in presunzioni non corroborate da dati non
ipotetici – ad incrementare la quantificazione della “chance” come riconosciuta
dal Tar (censura avanzata in via subordinata dall’appellante incidentale) .
L‘utile di gestione è stato riconosciuto, di guisa che la
ulteriore “posta” richiesta costituirebbe indebita duplicazione.
6.2. La sentenza parziale, non impugnata dall’appellante in
parte qua, ha riconosciuto che, comunque il Pgt del 2008 spiega efficacia
preclusiva: il dato non è seriamente contestato dalla ditta appellante
incidentale, che anche in questo caso ricorre ad espressioni ipotetiche (pag.
18: “non sembra escludere”). In tale quadro, l’applicazione del disposto ex art.
1227 cc –sulla cui correttezza ci si è prima soffermati in relazione alle
speculari doglianze del Comune- in relazione alla omessa impugnazione del
medesimo appare conseguenza necessitata ed aderente alla consolidata
giurisprudenza amministrativa.
Che poi vi fosse una pervicace volontà del comune di non
realizzare l’opera si è già detto: ma ciò non può portare ad escludere che il
dato relativo alla impossibilità di ottenere tutela reipersecutoria si leghi al
sopravvenuto PGT del 2008 e che questo sia rimasto in impugnato.
Anche l’appello incidentale va pertanto disatteso, mentre non
v’è luogo a pronunciarsi sulle altre censure in quanto articolate in via
subordinata per l’ipotesi in cui l’appello del comune fosse stato accolto (come
non v’è ragione di pronunciarsi sui riproposti motivi di censura di primo grado
assorbiti, a cagione della integrale reiezione dell’appello principale proposto
dal Comune) .
6. Le spese seguono la soccombenza, mentre vanno compensate con
riferimento alla posizione del Ministero. Il comune deve essere pertanto
condannato al pagamento delle medesime in favore della società appellata, in
misura che appare equo quantificare in Euro quattromila (€ 4000) oltre oneri
accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta)definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe
proposto,respinge l’appello principale ed in parte respinge ed in parte dichiara
improcedibile l’appello incidentale.
Condanna il comune al pagamento delle spese processuali in
favore della società appellata, in misura che appare equo quantificare in Euro
quattromila (€ 4000) oltre oneri accessori, se dovuti, e le compensa per il
resto .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8
aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Diego Sabatino, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)